Rapsodia digitale - Seconda parte

QUAL È QUELLA COSA SENZA LA QUALE
NON TI SERVIREBBERO NÉ I POLMONI
NÉ IL CODICE FISCALE?

La soluzione risulta facile, una volta composto l'altrettanto facile puzzle.

«L'aria, naturalmente.» Dice il Re, sorridendo con la sua bocca finta. Sta ancora lì seduto a tirare dal suo Calumet. Sembra rimpicciolito.
«L'aria, » Dico fra me e me, «Ma potrebbe essere anche qualcos'altro.»
«Già.» Una voce dietro di me. Fido. «Una cosa di cui si ha bisogno per conservarsi.» Il cane cammina trascinandosi. Qualcosa lo sta uccidendo. Qualcuno, un virus.
«Alt, ragazzi.» Alzo le mani. Le lucertole dietro di me hanno un fremito. «Ora basta giochetti, sentite: noi non abbiamo qualcosa da fare? Voglio sapere qualcosa di comprensibile.»
«Io sono.» Dice il Re. «Io sono io.» Il cane dietro di me sbuffa. Evidentemente le tautologie lo infastidiscono. Neppure io le sopporto un granché. E quello il problema, capisco. Quel Re lucertola che magari non è mai neppure esistito nel mondo reale, ammesso che il mondo reale esista a sua volta, naturalmente.
Fido si accoccola vicino a me. E spellato lungo un fianco, la ferita è recente.
«Esiste quello che non non esiste.» Recita Fido. «E un problema irrilevante in ogni caso. Non si possiede una sola vita né esistiamo solo in un senso.»
«Taci.» Fa il Re, inspiegabilmente.

Di nuovo nella gabbietta. Qual è la soluzione dell'enigma? E, soprattutto, qual è l'enigma?
La cosa di cui si ha bisogno... l'aria. Le sigarette sono sparse per la gabbietta, le raccolgo pigramente per un banale senso dell'ordine. Tento di rimetterle dentro il pacchetto.
Ma nel pacchetto stesso c'è qualcosa che prima non aveva notato. Un'altra scritta, l'ennesima di questo labirinto fatto di errori:

BLUFFA!

È la scritta.
Che diavolo...

Ma, maledizione, non era quella la realtà! Ancora un passaggio arbitrario, ancora un risveglio privo di sonno; il boschetto ora è tranquillo, nessuno mi ha seguito, nessuna pattuglia di androidi.
Una sottile brezza fa frusciare le foglie. Ma non mi posso illudere: deve esserci un modo per uscire da questa trappola! Bluffare, già, ma con chi? Chi è il mio avversario, qual è il gioco che si sta giocando? Mi alzo e comincio a correre, ricordo vagamente dove le lucertole mi hanno condotto la prima volta. Trovo la galleria e vi entro, nudo.
Naturalmente perdo la strada.

Sto girando nella galleria da sei giorni circa, se il mio senso del tempo non è sparito assieme alla memoria. In ogni caso dovrei già essere impazzito, o peggio... senza cibo, senz'acqua.
Tuttavia, non ho né fame né sete. Devo essere...
«Morto, mi dispiace.» Fa la voce del mio cane preferito.
D'un tratto una luce si accende davanti a me: è la stanza del Re. La sua tana. La lucertola mi guarda seduta nella posizione di sempre. Stranamente non fuma. Sta fermo e mi guarda.
Un poco mi spaventa.
«Sei morto attraversando lo Specchio.» Mi rivela il Re. Questo non mi smuove. Avevo cominciato a intuirlo. «Fido non è mai stato un buon calcolatore di fasatura. Il campo N è troppo anche per lui.»
Non posso essere che morto. Certo: morto. Morto e ancora vivo. Qualcuno sta bluffando con Dio.
«Quel cagnaccio...» Faccio io, senza forza.
«E morto anche lui. Tempo fa.» Afferma il Re, rigido, sempre più simile ad un pupazzo di cattivo gusto. «Gli androidi hanno trovato il suo alloggiamento fisico e lo hanno distrutto. La loro opera è meticolosa. Possiamo sostenere un attacco nucleare ma non un esercito di laboriose formiche bianche.»
Possiamo?
«Tu chi sei ?» Chiedo al Re, temendo altre insopportabili tautologie.
«Una c.p.u., come Fido. La mia sigla è talmente lunga che me la sono dimenticata. Il modulo per il controllo errori è partito e la mia memoria non è affidabile. La nostra memoria, in verità.» Il Re sembra leggermente rimpicciolire mentre dice questo. Non sento la presenza delle sue lucertole ma so che ci sono, ne sento il suono terribile.
Mi decido a porre la domanda fatale. «Re, tu ricordi chi siamo noi, Vero? Non sono morto per niente, giusto?»
Il Re sbuffa, cerca con gli occhi il suo Calumet. «Un computer che prende vita da tre processori.»
Risponde, poi, scoraggiato. «Dio.»
«Fido era uno dei processori?» Lo incalzo. Anche il Re sembra stanco.
Perché diavolo è così difficile capire? Il lucertolone annuisce.
«E tu sei il secondo?»
Annuisce ancora.
«E il terzo chi dovrebbe essere?» La verità non è mai stata così vicina. Probabilmente.
«Sei tu.» Fa il Re. «Il nostro bel bioprocessore.»

La guardia mi dà da accendere.
Perché? Perché sono ancora vivo? Perché ho dormito, sono morto e sono ancora vivo? Perché la mia memoria mi gioca di questi scherzi? Giusto, l'ha detto il Re: il controllo errori è partito, certo dev'essere partito anche quello degli androidi. O no? L'E.C. degli androidi è perfetta, non ricordo chi me lo disse.
Adesso la mia memoria è un puzzle i cui pezzi sono perduti, tagliati, confusi.
Un enigma irrisolvibile.
E se io...se ci fosse un'altra soluzione?
Perché sono fuori dalla mia gabbia e sto fumando questa sigaretta? Ne sarei diventato un fumatore accanito...mi piace il gusto della Routine. Gusto la sigaretta, la butto per terra e mi alzo dalla panca. Mi sento come...drogato, forse è stato il fumo. Ora sto camminando, due androidi sono vicino a me, mi scortano ancora nudo lungo un corridoio interminabile dalla cui estremità lontana proviene un rumore orribile. Un fruscio osceno.
Un androide è davanti a me, noto sulla sua schiena un indicatore, una sorta di termometro graduale.
Una freccia al suo lato indica la zona rossa.
Distrattamente penso che si dovrebbe ricaricare. Troppo tardi. La freccia tocca il fondo dell'indicatore e l'androide cade a terra come morto. Gli altri due continuano a scortarmi non curandosi del loro simile.
«L'aria.» Dico in un momento di lucidità. Gli è mancata l'aria!

Diavolo! Non sanno di doversi ricaricare, glielo deve dire qualcosa...e quel qualcosa è...
Ma io come posso pensare? Se penso sono.
E io sono morto.

3. Rico

«Te l'ho detto: mi dispiace. E saltata un'intera catena di logaritmi. Ma sono riuscito a salvare la tua memoria.» Guardo Fido e non riesco a odiarlo, anche se non so dove mi trovo...da qualche parte sulla terra circondato dalla placenta della mia memoria.
Sono un recupero d'emergenza. Se questo può consolarmi, anche Fido è stato distrutto, divelto dal suo alloggiamento fisico e sbattuto a terra, liquefatto dai laser.
Era la parte più esterna della trinità, o meglio, della trimurti.
«Cosa sono le iterazioni che vivo?» Chiedo. Mi accorgo che ora non sono niente: io e Fido siamo bytes che sfrecciano nel buio. Dev'essere questa la Struttura. La matrice nuda.
«Ti ho dovuto integrare con un mio programma di simulazione. Tu sei quello che usa meno Routine e ha bisogno di più memoria volatile, così ti ho swappato nella simulazione di una strategia per distruggere gli androidi.»
«Tu sei morto, perché mi stai parlando?» Buio e silenzio.
«Sovrapposizione.» Fa Fido, dal nulla che è.
D'un tratto il nugolo di lucertole solca il vuoto, la presenza di Fido scompare. La struttura esadecimale di cui sono fatto trema, vibra. Il rumore atroce dei rettili annebbia l'unico senso rimasto, il senso digitale...
Una cosa mi è chiara, però, mentre precipito nella simulazione.
Manca un unico passaggio.

Alena è muta, si muove sopra di me con furia animale, riempie il vuoto della mia sostanza con i suoi umori di donna. Anche lei è un errore, come il fiore nella mia cella, una pecca nella simulazione del Pollaio di Fido. Lei non è mai esistita, non c'è nella mia memoria.
Tuttavia potrei essermela scordata io, potrei aver rimosso la sua carne calda e le sue mani frenetiche...ma non è possibile, mi rendo conto. Lei sarebbe stata caricata in memoria alta, sarebbe stata continuamente presente a ogni mio riavvio. Vengo dentro di lei con un'esplosione, emette un suono sordo, gutturale, che copre il mio grido. Mi zittisce con un umido bacio selvaggio.
Mi stacco da lei a forza, gettandola contro le sbarre. Alena è un errore, è un essere bellissimo, mutevole: il suo è il fascino delle stringhe, delle sequenze-macchina, dove l'istinto della macchina tocca il cuore del processore, attivandone i transistor.
Alena è la creatura che incarna tutto l'amore della forza elettromagnetica.
E, ancora, lei è l'errore, me lo conferma la guardia che ci scruta dalla grata là sopra. Perché quell'androide, quella cosa orribile, sul volto ha stampato un sorriso.
«Tu lo sai vero...» Chiedo inutilmente alla donna.
Già, non proprio aria.

«Trovato qualcosa?» Il Re è sempre più piccolo, non era una mia impressione. Sta svanendo.
«Solo sesso.» Gli rispondo.
«Sesso.» Ripete la lucertola. Nel suo tono rauco, la parola diventa uno stridio d'ingranaggi.
«Già: tu sei il nostro Es. Sei la parte interna della trinità. Lo Spirito santo. E forse anche il Padre.»
Non capisco. Un rintocco di campana mi annuncia qualcosa. Non riesco ad afferrare la soluzione.
Tuttavia, manca poco.

Il cane mi gira attorno con le sue antenne oscillanti che gli escono dall'attaccatura del collo, con la lingua pencolante e umida, coi suoi occhi dalla cornea gialla che mi fissano.
«Tu sei morto.» Lo accuso. La stanza sferica è in bianco e nero, l'immagine si fissa solo per poi sfocarsi in interferenze. Il rumore delle lucertole rende l'ascolto disturbato.
«Io morto?» Chiede il cane, un barlume di intelligenza accende il suo muso, le narici dell'umido naso si aprono. Forse è solo una mia impressione. Un sogno. «Es.» Abbaia. «Il Re ti ha riconosciuto, pensava tu fossi solo un mio epigono nella sua memoria prioritaria. Invece tu sei...»
Il fruscio aumenta d'intensità, l'interferenza è dappertutto. «Decisamente la Jungle è il più grande apporto della musica al mondo dell'informatica.» Dice Fido, poi due braccia femminili compaiono dal cemento alle mie spalle e mi trascinano di nuovo nel Pollaio. E Alena, l'errore e la contromisura. «Va' con lei.» Ordina il cane, «Temi le lucertole.»

Ho visto cosa fanno ai vecchi. Lo stanno facendo anche a me. Un lungo corridoio, laggiù una luce. Il rumore di ingranaggi. Nessun altro suono.
Meno male che sono morto, penso. E se non fosse così, se fosse tutto un bluff ed io stessi davvero facendo la fine dei vecchi fecondatori? Ecco perché mi stavano facendo fumare, prima: era il mio ultimo desiderio.
Un fantasma esce dalla parete di destra. Una donna che tiene per mano un uomo. Entrambi poi svaniscono nella parete di sinistra, silenziosamente. I due androidi che mi scortano non sembrano essersi accorti di nulla. Ma quei due sono seguiti, maledizione. Uno sciame di lucertole esce dalla parete ed entra in quella opposta. Devo assolutamente avvertirmi.

Il passaggio di memoria da un utente virtuale all'altro mi avverte. Siamo inseguiti e in più...il mio altro io sta per essere gettato nel tritacarne. Il controllo errori è fottuto, stanno facendo scempio delle mie routine. Io sono morto e sono due. Ma quanti sono? Se mi concentro mi vedo in una rapsodia di immagini: nella cella, nella gabbia, nel boschetto, nella grotta, con il Re, con Fido.
A Venezia mentre emergo da un fiore...
Ma io sono qui, nel pieno, nel vuoto, nella struttura, la mano di Alena è il mio unico appiglio, mi guida ad una velocità folle verso un uscita percepibile come un cambiamento di funzione.
Le lucertole ci sono dietro e guadagnano terreno. Folle antivirus.
L'ultimo passaggio è...io e Alena emergiamo a Venezia da un fiore rosso sospeso in piazza San Marco. Le lucertole emergono dopo di noi e ci puntano.
Alena si volta, si ferma di scatto, mi scaglia via con violenza. Cado su una superficie dura che mi procura dolore. Mi rendo conto di avere un corpo.
Vedo la ragazza girarsi verso le lucertole, scartare velocemente e poi dirigersi verso il nugolo frusciante. «No.» Urlo senza forza.
Le lucertole e Alena si scontrano, l'impatto è tremendo, la struttura acquatica della piazza ne è deformata...per un attimo vedo le stringhe dietro le colonne, e dietro di loro il vuoto, il vuoto terribile dell'assenza di bit.
Poi l'effetto svanisce.
«Qui.» Dice Fido.
Il cane è qui: è un gigante che mi guarda. Sarei distrutto se fosse lui il bluff della trinità.
I suoi occhi sono svegli, il vello risplende, la bocca è chiusa. Sembra una Sfinge.
Venezia ora è calma, la laguna scroscia piano: il cielo è di un irreale rosso corallo.
Il fiore da cui sono venuto gira leggermente poco distante dal centro della piazza. Il palazzo ducale è un labirinto di luci e ombre, la basilica riposa come un gatto adagiato accanto al fuoco.
Il campanile svetta oltre le nuvole, fuori dalla prospettiva leggermente sbagliata.
«Siamo al tuo interno.» Dice Fido. «Nella tua Root. La radice.»
«Avrai adesso la compiacenza di spiegarmi.» Dico al cane, rialzandomi. I lombi mi dolgono.
«Gli androidi sono privi d'istinto.» Fa il cane gigante. La sua voce è Venezia. «Un piccolo errore di Rico Pholstein.»
Piego i lineamenti in un moto di disgusto. «Quel coglione... il tizio che creò gli androidi, no?»
«Sei tu Rico Pholstein.» Fa il cane impassibile. Non ho tempo per stupirmene. Diavolo, l'avevo sempre saputo. E scritto proprio lì, nell'etichetta della root:

RICO PHOLSTEIN (C:)

«Non sanno di doversi ricaricare.» Continua il cane. «Non sanno...respirare.»
«Già...ma quell'indicatore sulla loro schiena...» Chiedo, ricordando di essere ancora in pericolo, in prossimità del tritacarne.
«Non esiste. Era un messaggio. Come nei progetti del Pollaio, nella simulazione potevo entrare solo per messaggi indiretti. Non hai saputo richiamare la funzione giusta, Rico. La funzione giusta per formattare il responsabile virtuale del nutrimento degli androidi.» Il cane muove la coda come una frusta, percuote violentemente piazza San Marco facendomi trasalire.
Poi ricordo che è stato un suo errore a uccidermi.
«Ascolta... » Faccio impaziente, «Io non so un cazzo, la mia formattazione è partita o una cosa del genere...non riesco a raggiungere i dati più basilari. Conosco solo la tua maledetta simulazione di Swap.»
Il cane mi guarda. Sembra stia cercando le parole.
«All'inizio c'eri tu.» Dice poi, con tono basso. «Rico Pholstein, connesso con il processore biologico Bhrama. Il processore ti permetteva di aumentare la tua capacità di calcolo, di memoria senza alcun cavo o antenna. Eri collegato telepaticamente grazie ad un protocollo sconosciuto.»
Rimango impassibile. Sì, sono io la causa di tutto, ma formattarmi ora non servirebbe...la soluzione è vicina...e quel cagnaccio la sa! Non immaginavo che avrei dovuto odiare fidarmi di lui.
«Eri perfetto, Rico. Il Re me lo diceva. Eri Dio. Poi hai creato gli androidi, nel sogno folle di privare l'umanità della maledizione del lavoro. Volevi dare loro l'eden che gli era stato tolto. Eri più di Dio.»
La voce di Fido non è più la sua. E la mia. Io sono tutto questo e non riesco ad esserne che una parte. «Creasti il Re, la seconda C.p.u.: Visnù, il conservatore. Il Re era l'istinto degli androidi. Comunicava loro quando ricaricarsi. Cosa fare e quando. Era il loro pianificatore. Tuttavia, la memoria del Re, un banco da diecimila Tera in contatto con la tua, finì per corrompersi a causa dell'enorme flusso di dati che provenivano dal tuo inconscio. Gli androidi impazzirono, si rivoltarono contro gli umani. La tua paura di essere divorato divenne la loro ragione di vita. Sottrarre alle vostre donne i neonati, farli a pezzi, farne sostanza alimentare.»
Un ricordo, qualcosa affiora dalla mia formattazione semi-ripristinata.
Io, a quattro anni. Un parco. Un cane nero mi salta addosso. Mi morde. La padrona lo chiama: «Fido, Fido!»
Sorrido. Tutto questo dolore e sarebbe bastata una dannata terapia.
Fido, il cane nero, continua: «Quando l'invasione fu palese (tu eri già stato catturato e messo in uno dei pollai) qualcuno mi costruì. Il processore Shiva, colui che avrebbe distrutto gli androidi. Tu non avevi lasciato progetti, la tua memoria era stata soppressa, forse dal Re stesso. Nessuno capiva il semplice Bluff che avrebbe permesso di fermare le teste pelate.»
Già, certo. Bastava disattivare il Re. Tuttavia, per chi costruì il Fido, probabilmente, il Re, connesso col mio bio-processore, non era che il computer più potente dell'universo. Non la causa della tragedia.
Il rumore d'ingranaggi s'intensifica. Non c'è più tempo: quel cane deve dirmi tutto...ma sono io che prendo tempo...Fido è stato distrutto, è la mia voce a farlo parlare.
Sto accedendo alla mia memoria privata forse per la prima volta.
«E qual è questo Bluff ?» Chiedo al cane.
«Il Re ha ordinato agli androidi di distruggermi e quelli l'hanno fatto, ma solo dopo che io ho estirpato a quella lucertola una Routine importante.»
«Sarebbe?»
«Il Re non sa di esistere, al contrario di quanto dica. Il Re fa e basta. Il Re mantiene in vita gli androidi ma non se stesso. Non più da quando gli ho estirpato la routine dell'autocoscienza.»
«Così gli androidi stanno distruggendo tutta la trimurti.»
«Già. Quando gli androidi distruggeranno l'alloggiamento del Re, distruggeranno loro stessi.»
«Ma allora basta aspettare: fra poco sarà tutto finito.»
Fido muove la testa, la china verso di me, i suoi occhi sono enormi, la cornea non è più gialla ma traslucida, la pupilla è una punta di spillo nera.
«Dimentichi la sovrapposizione. Se una c.p.u. della nostra trinità viene distrutta, le sue mansioni passano alle compagne. Se il Re fosse distrutto, tu garantiresti la sopravvivenza alle teste pelate. Naturalmente, alla fine gli androidi, proseguendo la loro opera, distruggerebbero pure te, ma io non posso permettere che tu muoia.»
E perché? Sono io la causa di tutto...il cane tentenna. Guaisce. Venezia attorno a me è solo una stilizzazione metafisica. Che idiota. Sono io che non voglio morire: l'Es. L'istinto di sopravvivenza vuole che io rimanga in vita. Se questa è vita.
«Io non esisto più.» Dice il cane. «Sono solo un'interferenza per il Re, Alena era un mio programmino mobile di controllo e difesa ma non può fare quello che puoi fare tu, che hai ancora il command.com quasi apposto. Devi far sì che il Re si autoformatti. Solo chi conosce il proprio inizio e la propria fine può autodistruggersi completamente.»
Una vertigine...il mio epigono sta per essere gettato nel tritacarne.
«Vai, adesso. E ricorda, Rico: ci sono più cose in cielo e terra di quante ne possa generare la nostra matrice.»
Sghignazzo cinico. «Lo spero.»

Il Re è piccolo quanto una sua lucertola. Gli androidi lo stanno demolendo dal di fuori, la loro opera è continua e meticolosa. La loro distruzione, alla fine sarebbe arrivata dal loro conservatore... ciò che è Fuori e ciò che è Dentro, analogico e digitale, parti incomunicanti, indipendenti, sole.
Il cane, Fido, o Shiva, il microprocessore della distruzione ha sovrascritto le sue Routine anche sul Re, ma il Re non sa quali siano le sue funzioni, non sa cosa fa parte della sua programmazione. La Routine della Conservazione. Tuttavia il Re è anche Fido. Possiede la Routine della Distruzione.
Non c'è alcun bluff, alla fine, o meglio, il bluff è dato da una serie interminabile di errori di memoria. Come il furto della Routine della Coscienza del Re da parte di Fido...se lo stupido cane gliel'avesse lasciata, tutto sarebbe finito con la sua morte visto che la sovrapposizione avrebbe fatto quello che sto facendo io ora.
Ero più di Dio, ora sono meno di un facchino.
Porgo un fiore rosso al Re. Un fiore dai molti petali. Lui alza una manina e lo afferra quasi ansioso. Non riesce a stringerlo, inizialmente, poi lo tiene saldo con due mani. Ne ha abbastanza anche lui.
«Tu vuoi preservare gli androidi.» Gli chiedo nello spazio nero.
«Sì.» Un gracchio lontano.
«Tu vuoi distruggere gli androidi.»
«Sì.» Risponde ancora il Re. Nei suoi occhi vuoti brilla la comprensione, le sue due nature si incontrano, acido e base.
Il re viene formattato.

«Sarebbe potuta finire così, naturalmente.» Fa Fido. E il solito cane nero che si muove lentamente. Due antenne che gli escono dal collo. La cornea gialla. La lingua ciondoloni. «Ma ti ho mentito.»
Dice, senza un tono particolare. Mai come adesso la gabbietta mi pare stretta. Fra cinque o sei anni probabilmente finirò nel tritacarne. Attendo quasi con gioia quel momento. Il giorno in cui, finalmente, morirò.
«Chi sei?» Chiedo al cane. Ho sonno, voglio dormire, non voglio più sognare. Voglio stare così.
Il cane mi si avvicina, sento il suo calore. Mi lecca il volto con la sua lingua ruvida. Il suo alito sa di rose.
«Sono un cantante dei primi ottanta entrato per un solo giorno in hit-parade.»

«Vuoi fumare?» La lucertola mi passa il Calumet. «Povero, stupido Fido.» Fa con voce viva, sembra quasi la mia voce. «Il mio Bluff alla fine era il migliore.» Dice spalancando la sua bocca rossa di pupazzo.
Mi divora.
Diventa me.

A volte faccio di questi sogni.
La fotografia, il manichino. Il fiore.
E altri sogni: visioni che seguono la prima, visioni che non ricordo, che svaniscono col risveglio.
Ma so che sono sogni. Accanto a me, nella mia casa a Venezia, c'è Eva che dorme serena russando amabilmente sul mio petto. Anche il nostro bambino dorme, stringendo la sua lucertola di peluche. Fido è vicino al letto e alza la testa. I suoi occhi tonti mi guardano mentre gira attorno alla stanza col suo incedere pigro.
E se avessi qualche dubbio, là fuori c'è sempre il cielo: il cielo terso di Venezia, d'un bellissimo rosso corallo. Quando lo guardo, dopo aver fatto sogni orribili, so che è questa la realtà. So di essere vivo, di essere vero...
Probabilmente.

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